Le
domande sono amate dal nostro cervello, posso scavare in profondità e portarti
attraverso terreni inesplorati, oppure possono tenerti laddove semplicemente
sei.
Le
domande non sono tutte uguali e la risposta ottenuta è direttamente
proporzionale all’efficacia della nostra domanda. Per ottenere
risposte e reazioni funzionali è necessario porre domande efficaci…. Non solo
agli altri, ma anche a noi stessi.
Prima di cominciare è bene
aver chiaro per quale ragione si pone una domanda:
- Per chiedere informazioni?
- Soddisfare la nostra curiosità?
- Manifestare interesse?
- Incoraggiare un’ulteriore conversazione?
- Facilitare la comprensione?
- Scoprire cosa gli altri sentono o pensano?
- Individuare le aree di preoccupazione?
- Controllare e confermare risposte già date?
- Aumentare l’intimità?
- Mettere l’altro a proprio agio?
Una volta compreso il nostro
obiettivo ricordiamoci che formulare bene le domande è un’abilità che richiede pratica.
Quali sono le domande
efficaci? In questi giorni di formazione spesso abbiamo parlato delle domande che
iniziano con il “perché” e del fatto che sono poco efficaci, non aiutano l’altro
a esplorarsi, chiudono la comunicazione e non cambiano il FOCUS MENTALE.
Oggi cercheremo di spiegare
meglio questi concetti.
Abbiamo già parlato del fatto
che “la mappa non è il territorio”,
ossia che le nostre percezioni sono soggettive e che ognuno di noi guarda,
interpreta, legge il mondo attraverso i propri filtri. Ma non basta, la ricerca
in neuroscienze ha rivelato che esiste una parte del cervello chiamata Sistema di Attivazione Reticolare (SAR)
- un insieme di cellule nervose che crea una rete di contatti tra corteccia
cerebrale, lobi frontali, parti evolute del cervello umano deputate allo
sviluppo di idee/pensieri ecc.- che ci permette di fare attenzione alle cose che abbiamo deciso essere più
importanti per noi.
Un
esempio può aiutare a capire meglio: quando decidiamo di comprare una macchina
iniziamo a informarci sui modelli, pian piano prende forma il desiderio, ossia
pian piano iniziamo a essere sempre più decisi rispetto alla scelta. In quel
momento iniziate a vedere quella macchina e quel modello ovunque, cosa di cui
prima non vi eravate resi conto.
Lo
stesso accade alle donne che aspettano un bambino, o che vorrebbero un bambino.
Di punto in bianco iniziano a vedere pancioni ovunque.
Tutto
quello che notiamo di più nella realtà attorno a noi è il nostro Focus Mentale. Ogni singolo individuo
pone l’attenzione solo su una
determinata porzione di realtà e proprio per questo la percezione risulta
fortemente limitata. Se ci concentriamo su qualcosa essa diventa la nostra
realtà soggettiva.
Il
focus mentale tenderà ad orientarsi in maniera
automatica secondo schemi appresi e routinari: se una persona tende a
focalizzarsi sui problemi è probabile che vedrà solo quelli, mentre se è
orientata alle soluzioni tenderà a trovarle. Pertanto è più utile focalizzarsi
sulle possibili soluzioni che sulle difficoltà emerse nel singolo problema.
Le domande efficaci sono quelle domande che ci aiutano ad avere più
chiaro il focus mentale (nostro o del nostro interlocutore) e a cambiarlo se
necessario.
Le domande che contengono al
loro interno, un “Perché”,
tenderanno a focalizzarci sul problema, producendo l’unico risultato di
aumentarlo e rafforzandolo. Non portano alcun tipo di risposta di qualità.
Molto meglio, e molto più efficace, porre domande che contengano il “COME” o il “COSA”.
“Come posso risolvere questo
problema e star meglio”? “Cosa posso fare di diverso?”
Queste domande, sono molto più
efficaci proprio perché ci aiutano a dirigere il focus mentale sulle “Soluzioni” e
non sul “Problema”.
Se io chiedo “perché ti senti ansioso?” Spingerò l’altro
a concentrarsi sull’ansia e a trovare mille risposte per il quale sentirsi
ansioso. Una domanda efficace può essere: “come
puoi fare per sentirti più calmo?” (uso un termine positivo “Calmo” e non
uno negativo “Ansia”, in questo modo sposto il focus dell’altro).
Ci sono alcuni atteggiamenti,
racchiusi nell’acronimo VISSI, che sono di ostacolo nella comunicazione:
Valutare
Indagare
Sostenere
Soluzionare
Interpretare
Perché
questi verbi sono così dannosi per un buon ascolto? In fondo sono esattamente
le azioni che, da bravi amici, compiamo quando ascoltiamo chi amiamo con tutta
la nostra buona intenzione di aiutarlo. Il problema più grosso è che ognuna di
queste azioni implica che il NOSTRO
punto di vista, abbia più valore di quelli dell’altro. Ad ognuno di
questi atteggiamenti corrispondono delle domande o affermazioni depotenzianti.
Ma guardiamo in dettaglio:
Valutare: Solitamente
quando valutiamo definiamo ciò che è giusto o sbagliato secondo nostri modelli
di riferimento, che non è detto siano gli stessi di chi stiamo ascoltando, e
quindi attraverso la valutazione tendiamo a leggere la sua realtà con i nostri
occhi. Inoltre ci permettiamo di dare dei giudizi di merito, troppo spesso
utilizzando i nostri metri di valore.
Indagare:
Facendo domande per “saperne di più” distogliamo l’attenzione da ciò che
l’altro ci racconta in quel momento, lo facciamo divagare, magari interrompendo
l’emozione che stava emergendo dal suo racconto.
Sostenere: La pacca sulla spalla o le frasi di convenienza tipo:
“dai, tanto passa presto”, oppure “ ma te sei forte, saprai cavartela…” hanno
il risultato di minimizzare il sentimento che viene espresso e non dare il
giusto valore a chi sta parlando.
Soluzionare: Anche qui si parte da noi stessi invece che dall’altro,
si forniscono risposte che (forse) potrebbero andare bene a noi, ma non sono
emerse da parte di chi sta parlando. E a volte siamo così convinti delle nostre
risposte che ci arrabbiamo pure se l’altro non mette in pratica i nostri
consigli.
Interpretare: Ci permettiamo di leggere la realtà secondo il nostro
punto di vista, di vedere connessioni univoche fra azioni e contenuti,
proponiamo nostre strade invece di accogliere quelle dell’altro.
Vediamo
invece cosa funziona in un ascolto empatico attraverso l’acronimo: ARTE
dell’ASCOLTO:
A Accogliere l’altro senza nessuna
idea preconcetta.
R Riformulare ciò che abbiamo
ascoltato per essere sicuri di aver capito e farlo risentire all’altro. Rispettare le
sue parole e le sue emozioni.
T Tacere per ascoltare meglio.
E Empatizzare con le sue emozioni
senza cadere nell’immedesimazione.
A Accettare qualsiasi cosa venga
detta. Accettare non vuol dire condividere, ma dare spazio.
S Sospendere ogni tipo di giudizio.
C Comprendere le emozioni senza
utilizzare i nostri filtri e senza farsi coinvolgere.
O Osservare anche tutti gli aspetti
non verbali che aiutano a comprendere meglio cosa c’è dietro alle parole.
L Lealtà nell’espressione del
proprio sentire. Restare se stessi. Non fingere per far piacere a chi parla
T Tollerare le differenze.
O Offrire se stessi come specchio
delle emozioni che hanno bisogno di venire fuori.
Chi
chiede ascolto ha bisogno di trovare uno spazio in cui potersi esprimere e
quindi indagare il proprio sè interiore. Quasi sempre non ha bisogno di
consigli, suggerimenti, giudizi, incoraggiamenti, ha bisogno semplicemente di
sapere che esiste qualcuno che lo accetta esattamente per quello che è, è pronto
ad accoglierlo e non vuole cambiare nulla di lui.
Provate nelle prossime settimane ad osservare quale atteggiamento VISSI mettete in atto più spesso e quale invece in ARTE ASCOLTO è più difficile da applicare.
I prossimi post tratteranno i
seguenti temi:
- Impara a fare domande orientate al problem
solving.
- Prendere consapevolezza dei nostri filtri: La
nostra reazione emotiva e comportamentale non è legata all’evento, ma al
pensiero, al dialogo interno, alle immagini che la nostra mente produce.
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