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venerdì 2 dicembre 2016

Domande efficaci

Le domande sono amate dal nostro cervello, posso scavare in profondità e portarti attraverso terreni inesplorati, oppure possono tenerti laddove semplicemente sei.


Le domande non sono tutte uguali e la risposta ottenuta è direttamente proporzionale all’efficacia della nostra domanda. Per ottenere risposte e reazioni funzionali è necessario porre domande efficaci…. Non solo agli altri, ma anche a noi stessi.




Prima di cominciare è bene aver chiaro per quale ragione si pone una domanda:
  •      Per chiedere informazioni?
  •      Soddisfare la nostra curiosità?
  •      Manifestare interesse?
  •      Incoraggiare un’ulteriore conversazione?
  •      Facilitare la comprensione?
  •      Scoprire cosa gli altri sentono o pensano?
  •      Individuare le aree di preoccupazione?
  •      Controllare e confermare risposte già date?
  •      Aumentare l’intimità?
  •      Mettere l’altro a proprio agio?

Una volta compreso il nostro obiettivo ricordiamoci che formulare bene le domande è un’abilità che richiede pratica.

Quali sono le domande efficaci? In questi giorni di formazione spesso abbiamo parlato delle domande che iniziano con il “perché” e del fatto che sono poco efficaci, non aiutano l’altro a esplorarsi, chiudono la comunicazione e non cambiano il FOCUS MENTALE.

Oggi cercheremo di spiegare meglio questi concetti.

Abbiamo già parlato del fatto che “la mappa non è il territorio”, ossia che le nostre percezioni sono soggettive e che ognuno di noi guarda, interpreta, legge il mondo attraverso i propri filtri. Ma non basta, la ricerca in neuroscienze ha rivelato che esiste una parte del cervello chiamata Sistema di Attivazione Reticolare (SAR) - un insieme di cellule nervose che crea una rete di contatti tra corteccia cerebrale, lobi frontali, parti evolute del cervello umano deputate allo sviluppo di idee/pensieri ecc.- che ci permette di fare attenzione alle cose che abbiamo deciso essere più importanti per noi.

Un esempio può aiutare a capire meglio: quando decidiamo di comprare una macchina iniziamo a informarci sui modelli, pian piano prende forma il desiderio, ossia pian piano iniziamo a essere sempre più decisi rispetto alla scelta. In quel momento iniziate a vedere quella macchina e quel modello ovunque, cosa di cui prima non vi eravate resi conto.
Lo stesso accade alle donne che aspettano un bambino, o che vorrebbero un bambino. Di punto in bianco iniziano a vedere pancioni ovunque.

Tutto quello che notiamo di più nella realtà attorno a noi è il nostro Focus Mentale. Ogni singolo individuo pone l’attenzione solo su una determinata porzione di realtà e proprio per questo la percezione risulta fortemente limitata. Se ci concentriamo su qualcosa essa diventa la nostra realtà soggettiva.

Il focus mentale tenderà ad orientarsi in maniera automatica secondo schemi appresi e routinari: se una persona tende a focalizzarsi sui problemi è probabile che vedrà solo quelli, mentre se è orientata alle soluzioni tenderà a trovarle. Pertanto è più utile focalizzarsi sulle possibili soluzioni che sulle difficoltà emerse nel singolo problema.

Le domande efficaci sono quelle domande che ci aiutano ad avere più chiaro il focus mentale (nostro o del nostro interlocutore) e a cambiarlo se necessario.

Le domande che contengono al loro interno, un “Perché”, tenderanno a focalizzarci sul problema, producendo l’unico risultato di aumentarlo e rafforzandolo. Non portano alcun tipo di risposta di qualità. Molto meglio, e molto più efficace, porre domande che contengano il “COME” o il “COSA”.

“Come posso risolvere questo problema e star meglio”? “Cosa posso fare di diverso?”
Queste domande, sono molto più efficaci proprio perché ci aiutano a dirigere il focus mentale sulle “Soluzioni” e non sul “Problema”.
Se io chiedo “perché ti senti ansioso?” Spingerò l’altro a concentrarsi sull’ansia e a trovare mille risposte per il quale sentirsi ansioso. Una domanda efficace può essere: “come puoi fare per sentirti più calmo?” (uso un termine positivo “Calmo” e non uno negativo “Ansia”, in questo modo sposto il focus dell’altro).

Ci sono alcuni atteggiamenti, racchiusi nell’acronimo VISSI, che sono di ostacolo nella comunicazione:
(Tratto da: ascolto e crescita)
Valutare
Indagare
Sostenere
Soluzionare
Interpretare

Perché questi verbi sono così dannosi per un buon ascolto? In fondo sono esattamente le azioni che, da bravi amici, compiamo quando ascoltiamo chi amiamo con tutta la nostra buona intenzione di aiutarlo. Il problema più grosso è che ognuna di queste azioni implica che il NOSTRO punto di vista, abbia più valore di quelli dell’altro. Ad ognuno di questi atteggiamenti corrispondono delle domande o affermazioni depotenzianti. Ma guardiamo in dettaglio:

Valutare: Solitamente quando valutiamo definiamo ciò che è giusto o sbagliato secondo nostri modelli di riferimento, che non è detto siano gli stessi di chi stiamo ascoltando, e quindi attraverso la valutazione tendiamo a leggere la sua realtà con i nostri occhi. Inoltre ci permettiamo di dare dei giudizi di merito, troppo spesso utilizzando i nostri metri di valore.

Indagare: Facendo domande per “saperne di più” distogliamo l’attenzione da ciò che l’altro ci racconta in quel momento, lo facciamo divagare, magari interrompendo l’emozione che stava emergendo dal suo racconto.

Sostenere: La pacca sulla spalla o le frasi di convenienza tipo: “dai, tanto passa presto”, oppure “ ma te sei forte, saprai cavartela…” hanno il risultato di minimizzare il sentimento che viene espresso e non dare il giusto valore a chi sta parlando.

Soluzionare: Anche qui si parte da noi stessi invece che dall’altro, si forniscono risposte che (forse) potrebbero andare bene a noi, ma non sono emerse da parte di chi sta parlando. E a volte siamo così convinti delle nostre risposte che ci arrabbiamo pure se l’altro non mette in pratica i nostri consigli.

Interpretare: Ci permettiamo di leggere la realtà secondo il nostro punto di vista, di vedere connessioni univoche fra azioni e contenuti, proponiamo nostre strade invece di accogliere quelle dell’altro.

download VISSI 

Vediamo invece cosa funziona in un ascolto empatico attraverso l’acronimo: ARTE dell’ASCOLTO:

Accogliere l’altro senza nessuna idea preconcetta.

Riformulare ciò che abbiamo ascoltato per essere sicuri di aver capito e farlo risentire all’altro. Rispettare le sue parole e le sue emozioni.
Tacere per ascoltare meglio.
Empatizzare con le sue emozioni senza cadere nell’immedesimazione.
Accettare qualsiasi cosa venga detta. Accettare non vuol dire condividere, ma dare spazio.
Sospendere ogni tipo di giudizio.
Comprendere le emozioni senza utilizzare i nostri filtri e senza farsi coinvolgere.
Osservare anche tutti gli aspetti non verbali che aiutano a comprendere meglio cosa c’è dietro alle parole.
Lealtà nell’espressione del proprio sentire. Restare se stessi. Non fingere per far piacere a chi parla
Tollerare le differenze.
Offrire se stessi come specchio delle emozioni che hanno bisogno di venire fuori.

Chi chiede ascolto ha bisogno di trovare uno spazio in cui potersi esprimere e quindi indagare il proprio sè interiore.  Quasi sempre non ha bisogno di consigli, suggerimenti, giudizi, incoraggiamenti, ha bisogno semplicemente di sapere che esiste qualcuno che lo accetta esattamente per quello che è, è pronto ad accoglierlo e non vuole cambiare nulla di lui.

Provate nelle prossime settimane ad osservare quale atteggiamento VISSI mettete in atto più spesso e quale invece in ARTE ASCOLTO è più difficile da applicare.


I prossimi post tratteranno i seguenti temi:
  •   Impara a fare domande orientate al problem solving.
  •   Prendere consapevolezza dei nostri filtri: La nostra reazione emotiva e comportamentale non è legata all’evento, ma al pensiero, al dialogo interno, alle immagini che la nostra mente produce. 

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